Chi l’avrebbe mai detto che un semplice “pezzetto” di cotone, informale e neutro, sarebbe diventato un’icona della storia della moda? E, soprattutto, chi avrebbe mai immaginato che una comunissima t-shirt uscisse dalle passerelle e dagli armadi per trasformarsi in simbolo di protesta senza eguali?
James Dean
Eppure, smessi i panni di capo da lavoro, la maglietta bianca è passata attraverso stili ed epoche, reinventando sé stessa ed entrando a pieno diritto nel mondo del mito.
Mitiche sono le immagini di due giovanissimi Marlon Brando e James Dean che, rispettivamente in Un tram chiamato desiderio e Gioventù bruciata, indossano quelle t-shirt che li avrebbero definitivamente consacrati all’impero filmico dei “belli e dannati”. Ma mitico è anche il fermo immagine di una combattiva Katharine Hamnett che stringe la mano a Margaret Thatcher sfoggiando la t-shirt-manifesto contro i missili nucleari. Perché la maglietta bianca non è solo moda, o meglio, è forse l’indumento che più di tutti assolve quello scopo “alto” della moda come riflesso fedele della società e dei suoi cambiamenti.
Margaret Thatcher e Katharine Hamnett, 1984
T-shirt "Save the World" by Katharine Hamnett
È dedicata alla forza dirompente della t-shirt quale strumento creativo e comunicativo, la mostra T-shirt: Cult – Culture – Subversion, in cartellone fino al prossimo 6 maggio al Fashion & Textile Museum di Londra. Una carrellata, cronologica e non, che permette di passare in rassegna oltre cinquant’anni di storie e vicissitudini dell’oggetto più popolare dell’ultimo secolo.
T-shirt: Cult, Culture & Subversion
Cento in tutto gli esempi (alcuni rarissimi) di t-shirt che il museo londinese offre ai visitatori: dalle magliette anni Settanta by Vievienne Westwood e Malcolm McLaren, alle rivisitazioni contemporanee provenienti dagli archivi di Dior, Moschino e Henry Holland. Undici sezioni per raccontare altrettanti cambiamenti; politici e sociali, ma anche artistici, musicali e identitari. Cambiamenti che trovano in questo capo di abbigliamento la perfetta “tela bianca” con cui ridisegnare il futuro o mostrare un’appartenenza. Perché la moda parla di gusto ed estetica sì, ma anche di adesione e legame. Elementi distintivi per eccellenza, è grazie agli abiti che si può comunicare.
T-shirt "The Advantages of Being a Woman Artist" by Guerrilla Girls. Photo: Boneshaker Photography
Allo stesso modo, allora, la t-shirt può diventare manifesto di cultura musicale, vedi le magliette realizzate per Joy Division, Rolling Stones e Velvet Underground, presenti in mostra nella sezione “With the band”. O ancora, trasformarsi in simbolo di appartenenza a quello o quell’altro gruppo modaiolo, come dimostrano i loghi DHL delle magliette di Vetements, visibili nella parte di mostra intitolata “Fashion Statement”.
Cos’altro poi, se non la “genderless tee”, da sempre capo privo di connotazioni di genere, può portare a riflessioni identitarie? Grazie a stampe e decorazioni, analizzate in “Unisex”, la maglietta di cotone spinge a ragionamenti su stereotipi e ideali.
T-shirt "Climate Revolution" by Vivienne Westwood
D’obbligo, infine, una menzione alla sezione “Ethics and Ecology”. Una parte importante (e attualissima) che studia come, da Vievienne Westwood in poi, il discorso sulla salvaguardia dell’ambiente sia diventato urgente anche nel settore moda, portando i designer ad interrogarsi sullo sviluppo di una moda etica e responsabile.
Non si cambierà il mondo con una maglietta ma, per dirla alla Westwood, “dovrebbero esserci più di t-shirt con qualcosa di interessante da dire”.