Non se la passano bene in questo momento a Hollywood. Nello scintillante mondo del cinema statunitense qualcosa si è rotto, a seguito dell’ondata di accuse di molestie sessuali che ha coinvolto i vari Weinstein, Spacey & Co. L’aver scomodato un pezzo da novanta come un produttore premio Oscar deve aver infuso una sferzata di coraggio anche ai piani alti di altre industrie patinate.
Cara Delevingne by Terry Richardson
La notizia risale allo scorso 24 ottobre, quando il britannico Telegraph viene a conoscenza di una mail interna al gruppo Condé Nast International. Nella lettera, inviata dal presidente esecutivo del gruppo James Woodhouse, si richiede che tutti i lavori commissionati a Richardson vengano cestinati. La decisione del colosso editoriale, che pubblica Vogue, GQ, Vanity Fair e Glamour, arriva dopo che un altro giornale britannico, il Sunday Times, si era posto la domanda sul perché il mondo della moda continuasse ancora a lavorare con Terry Richardson, visto l’elenco di accuse di molestie che da anni pende sulle sue spalle.
Terry Richardson e Lindsay Lohan
In effetti, per raccontare della lista di modelle che dal 2008 circa ha fotografato – ritratti ben poco lusinghieri (per usare un eufemismo) di Uncle Terry – servirebbe una linea cronologica del tempo. Basti ricordare quello del 2010, fatto dalla modella Rie Rasmussen, che accusò il fotografo di “scopare le donne solo perché con una macchina fotografica in mano”. Ovviamente, il dibattito sul tema si è acceso e a suon di hashtag #MyJobShouldNotIncludeAbuse o #BoycottTerry, il web si è infiammato.
Oltre alle grandi riviste poi, anche le case di moda hanno preso provvedimenti. Valentino, che aveva commissionato a Richardson l’advertising campaign per la collezione resort del 2018, ha sospeso ogni collaborazione con il fashion photographer e così anche Bulgari.
Miley Cyrus by Terry Richardson
Il caso Richardson, oltre ad aver infiammato il pubblico tra innocentisti e colpevolisti, sta portando a numerose discussioni nel mondo della moda. Autorevoli pubblicazioni di settore si sono interrogate sull’utilizzo del sesso nella pubblicità o negli editoriali di moda e, soprattutto, sul ritratto della donna che da questi scaturisce.
Guy Bourdin, Pentax Calendar, 1980
Al di là della domanda banale sul perché queste prese di posizione avvengano sempre in modo così tardivo, e non ci si riferisce tanto alle presunte vittime che – come loro stesse hanno spesso raccontato – si trovavano impreparate e agli inizi della carriera al momento degli abusi. Viene da chiedersi perché anche i grandi gruppi editoriali prendano posizione solo ora.
D’altronde, sulle immagini spesso etichettate come “porn-chic” di Richardson, le varie riviste ci hanno costruito una fortuna. Perché, siamo onesti, la massima “sex sells” è sempre stata cara al mondo della moda. E non solo da Richardson in poi, ma da molto prima.
Helmut Newton, Saddle I
Helmut Newton, Elsa Peretti in Bunny Costume
In effetti, sono stati gli anni Settanta a vedere per primi la comparsa del corpo “eroticizzato” (sia quello femminile, ma anche quello maschile, va detto) nella fotografia di moda. A far da complici, la rivoluzione sessuale che aveva caratterizzato il decennio precedente e la nascita di una moda nuova, di quel prêt-à-porter pensato per una donna dinamica, attiva, lavoratrice.
Erano delle donne assolutamente consapevoli, ad esempio, quelle ritratte da un maestro come Helmut Newton. Il grande fotografo tedesco ha immortalato situazioni torbide e sensualissime in cui la donna è tutt’altro che oggetto, ma anzi protagonista attiva di giochi che vedono, di volta in volta, il ricorso a ingredienti quali sadomasochismo, feticismo o voyeurismo.
Guy Bourdin. Louise Alexander Gallery. Charles Jourdan Shoes
O come non pensare, sempre in quegli anni, ad un altro grande artista come Guy Bourdin e alla sua messa in scena di veri e propri spezzoni filmici che hanno come elemento principale il racconto di fatti drammatici e violenti.
Insomma, Richardson non ha inventato niente, verrebbe da dire. O meglio, gridare allo scandalo per le sue fotografie, oltre che assolutamente ipocrita, è anche non propriamente corretto.
Ok, lo Zio Terry in quanto a depravazione, non scherza. Modelle con cetrioli in mano, o che sputano ambigui liquidi biancastri dalla bocca, sono la norma. Così com’è di regola anche il ritratto di situazioni tossiche al limite dell’accettabile, con modelle emaciate e sfatte che sniffano “strisce” di abiti bianchi (vedi la campagna pubblicitaria Fashion Junkie realizzata per Sisley). Ma il punto è un altro. Il punto è il pensiero che ci sta dietro.
Sisley in “Fashion Junkie” by Terry Richardson
Quello è il “Terryworld”, un mondo che lui ci mostra senza filtri. Le sue immagini sono una sorta di album di famiglia in cui palesare le sue frequentazioni e le sue perversioni; perversioni che hanno spesso a che fare con il sesso che, per tornare a quanto dicevamo prima, vende perché attrae.
Ecco perché, gridare ora allo scandalo per il lavoro di Terry Richardson suona un po’ bigotto e falso. Tutt’altra cosa è denunciare la sua condotta. Quello è non solo doveroso ma obbligatorio, proprio a partire dai piani alti.