Dopo mesi di rumors, indiscrezioni, conferme e poi smentite, la notizia ufficiale è arrivata: Phoebe Philo lascia Céline. A renderlo noto è WWD che riporta quanto dichiarato dalla stessa Philo e dal presidente e CEO di LVMH, Bernard Arnault.

Céline, Autumn/Winter 2017

“Lavorare per Céline è stata per me un’esperienza eccezionale negli ultimi dieci anni. Sono grata di aver lavorato con un team incredibilmente talentuoso e vorrei ringraziare tutti coloro che hanno collaborato con me. È stato incredibile”. Parole di gratitudine cui fanno eco quelle di Arnault che, stando sempre alla fonte autorevole citata da WWD, avrebbe affermato: “ciò che Phoebe ha realizzato negli ultimi dieci anni rappresenta un capitolo chiave nella storia di Céline. Le siamo molto grati per aver contribuito al grande successo di questa maison. Ora per Céline comincerà una nuova era di sviluppo e io sono estremamente fiducioso nel successo futuro di questa iconica maison”.

Eh già, una nuova era, perché la collezione per l’autunno inverno 2018 che sfilerà a Parigi in marzo, sarà l’ultima a portare la firma della designer inglese. Della stilista del minimalismo e della sottrazione, di quella in grado di trasformare la “pulizia” in qualcosa di incredibilmente chic, anzi, iconico. Della designer che, a suon di “less is more”, ha reinventato un marchio, anzi uno stile.

Céline, Autumn/Winter 2017

Non solo Phoebe Philo: tutti i ricambi ai vertici delle maison

Ovviamente, come a ogni giro di valzer modaiolo che si rispetti, si apre il toto scommesse su dove Phoebe Philo andrà a portare il suo incredibile talento. Molti, nell’industria fashion, la vorrebbero da Burberry. Il marchio del tartan più glamour che ci sia, ha infatti annunciato, lo scorso ottobre, il divorzio da Cristopher Bailey. Una separazione che è avvenuta dopo ben diciassette anni di guida creativa dello stilista, in una partnership che assume sembianze “bibliche” in epoca di repentini cambi della guardia nel sistema moda.

Ne è esempio la separazione, dopo soli diciotto mesi, di Jonathan Saunders da Diane Von Furstenberg (anche questa recentissima, dello scorso 15 dicembre).

Céline, Spring/Summer 2017 ready-to-wear collection

Dei cambi veloci, a volte velocissimi, ai vertici delle grandi case di moda, si parla ormai da tempo. Le rotture (quanto davvero “consensuali” non è dato sapere) degli ultimi anni portano i nomi celebri di Riccardo Tisci e Givenchy, Alber Elbaz e Lanvin, Raf Simons e Dior, o ancora, Hedi Slimane e Saint Laurent. Tutti designer di livello, in grado di apportare un contributo non da poco allo stile di marchi storici.

Ma allora, è davvero consigliabile un così veloce turn over? Per provare a rispondere (provare, intendiamoci), facciamo un po’ di chiarezza.

Direttore creativo: un ruolo, mille compiti

Abbandonate l’idea per la quale il direttore creativo disegni semplicemente (si fa per dire) abiti. Il suo raggio d’azione si estende a una serie di campi diversi e, soprattutto, il suo ruolo è un unicum tra il commerciale e il creativo. La ricerca stilistica su tessuti, colori e forme va di pari passo con la costruzione di un immaginario forte, per sé e per il brand di cui è responsabile. Non solo; coordina un team di lavoro e cura l’immagine del marchio per le collezioni e le sfilate, ma anche per i negozi e le campagne pubblicitarie. Un duro lavoro insomma, specie considerando il bilico sul quale spesso si trova a lavorare, sempre indeciso se risollevare le sorti di una maison guardando all’archivio, o proiettandosi totalmente verso il futuro.

Céline SS15 by Juergen Teller starring Joan Didion

Con queste premesse, viene facile intuire quanto il lavoro di un direttore creativo non sia cosa “risolvibile” in un annetto o poco più. Soprattutto se si considera il dispendio economico che un cambiamento di direzione comporta per una casa di moda.

Cambi ai vertici: quanto costano?

Era stato molto chiaro, a tal proposito, Business of Fashion che all’incirca un anno fa aveva pubblicato un articolo dal titolo emblematico di The risks of changing Creative Directors. L’articolo indicava le problematiche del cambiamento in termini di milioni di dollari. Tra gli esempi riportati dal magazine c’era proprio Phoebe Philo, che al suo arrivo da Céline aveva fatto trasferire lo studio da Parigi a Londra, con il personale costretto a fare la spola tra le due città e conseguente (e cospicuo) dispendio monetario.

Phoebe Philo

Insomma, se da un lato il cambiamento è sempre un bene, specie in un settore come quello della moda che si nutre di continue novità, dall’altro sembrerebbe opportuno calibrare bene il tiro e chissà, magari insererire nella lista del toto scommesse qualche giovane leva creativa.

Ah, per tornare all’abbandono della Philo da Céline, sembra più probabile una “pausa di riflessione” che il suo arrivo da Burberry. In attesa di novità, diamo ufficialmente il via ai pronostici.