La premiazione cinematografica più importante a livello internazionale sta per arrivare e quest’anno la competizione è particolarmente dura. Gli Oscar 2018 hanno annunciato nove candidature al premio Miglior Film. Nove stili diversi, nove generi diversi, nove registi di talento e nove cast che non hanno nulla da invidiare alle annate precedenti.
Mi sono personalmente lanciata in una maratona prima della notte degli Oscar per godermi al meglio la serata e ho deciso di parlarvi brevemente di ognuno di loro!
Chiamami col tuo nome
Mi sono già dilungata abbastanza in un articolo dedicato solo a questa pellicola, quindi sarò veloce. Chiamami col tuo nome è, insieme a Lady Bird, uno dei due film dal taglio indie di questa edizione degli Oscar. Sui social si parla molto di questa candidatura, di quanto possa essere stata giusta o meno. Per quanto mi riguarda, Chiamami col tuo nome ha meritato sicuramente la candidatura, sia per la tematica LGBT trattata divinamente, sia per l’alto livello di recitazione. Personalmente non credo vincerà l’ambita statuetta, ma sicuramente non sfigura nell’elenco dei film in gara.
Armie Hammer e Timothée Chalamet in Chiamami col tuo nome
Dunkirk
Christopher Nolan concorre agli Oscar 2018 con questo mastodontico film ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. L’episodio narrato da Nolan è l’evacuazione dei soldati inglesi da Dunkerque. Ne avrete sicuramente sentito parlare per le varie polemiche che aleggiavano attorno alla presenza di Harry Styles (uno dei componenti degli One Direction).
Dunkirk, (di cui abbiamo già parlato qui) racconta della guerra da tre linee narrative diverse, tutte riuscite, con l’aiuto di effetti tecnici e speciali eccezionali – oserei direi perfetti. Il film è molto povero di dialoghi e punta quasi tutto sull’impatto emotivo e visivo. Non rientra tra i miei preferiti proprio per questa scelta, in ogni caso ha buone possibilità di vittoria.
Fionn Whitehead in Dunkirk
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
Arriviamo al titolo che ha sorpreso il pubblico, me per prima. Personalmente l’ho scoperto solo grazie ad un’entusiasta recensione del fumettista Zerocalcare. Racconta di Mildred Hayes (interpretata da una Frances McDormand candidata come Miglior attrice protagonista), una madre divorziata e con un figlio a carico. Dopo un anno dalla morte dell’altra sua figlia, Angela, violentata e bruciata viva, affitta tre cartelloni pubblicitari, che portano a casa sua. Sui cartelloni fa scrivere tre frasi: “Stuprata mentre stava morendo”, “E ancora nessun arresto”, “Come mai, sceriffo Willoughby?”. I concittadini di Mildred difendono a spada tratta lo sceriffo Bill Willoughby, membro stimatissimo della comunità.
La sfacciata preferenza che tutti hanno per questo film (da poco vincitore del premio come Miglior Film ai BAFTA di quest’anno) può essere riassunta nella parabola del personaggio perdente. Facciamo sempre un po’ tutti il tifo per i casi persi, per le ingiustizie, soprattutto se sono raccontate con la dose massiccia di black humor che troviamo in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri.
Frances McDormand e Peter Dinklage Tre manifesti a Ebbing, Missouri
La forma dell’acqua – The Shape of Water
Guillermo del Toro è bravissimo a prendere gli elementi base di una storia per ricomporla a suo piacimento e creare qualcosa di diverso. The Shape of Water, sulla carta, sembra una narrazione vista e rivista: c’è lei, c’è lui, c’è un amore proibito e pure un cattivo davvero spiacevole… peccato che lei sia muta, che lui sia un essere acquatico non ben identificato, e il cattivo un agente del governo statunitense che vuole uccidere lui. Del Toro è riuscito ad applicare il suo stile visionario e poetico alla storia più vecchia del mondo, che magari non regala particolari sorprese, ma scalda il cuore e fa scappare qualche lacrimuccia qui e lì.
Da segnalare una strepitosa Octavia Spencer, candidata come Miglior attrice non protagonista.
Sally Hawkins in La forma dell'acqua - The Shape of Water
Lady Bird
Saoirse Ronan è Christine: Lady Bird, una ragazza che frequenta un liceo cattolico che odia, in una città che odia (Sacramento). Ha pochi amici e pure un rapporto conflittuale con sua madre. Finisce per mettersi nei guai durante la sua folle ricerca di indipendenza e di nuove opportunità, tra cattivi ragazzi – ovvero Timothée Chalamet, che non pensavo potesse avere la faccia giusta per interpretare lo “stronzo di turno” – nuove amicizie e balli di fine anno.
Niente di diverso da un teen movie classico, penserete voi… Possibile che sia vero, ma non è comunque un buon motivo per non andare al cinema a vederlo! Poche possibilità di vincere il premio più ambito durante la notte degli Oscar, anche se riesce bene nel suo lavoro: provare nostalgia per il periodo più “indemoniato” della vita di chiunque.
Lucas Hedges e Saoirse Ronan in Lady Bird
L’ora più buia
Se Dunkirk racconta della tragedia della guerra come su un palcoscenico, L’ora più buia narra… il dietro le quinte. Siamo nel 1940, Winston Churchill deve decidere se negoziare un trattato di pace con la Germania nazista o continuare la guerra per difendere gli ideali e la libertà della propria nazione – nel mentre decide il destino dei militari a Dunkerque.
Il regista Joe Wright ha fatto un ottimo lavoro nello scandire i tempi stretti e le ore frenetiche di Churchill, aiutato dall’irriconoscibile Gary Oldman nei panni del primo ministro inglese. Le voci di corridoio dicono che Oldman abbia già in tasca la statuetta come Miglior attore… ma c’è pur sempre Daniel Day-Lewis che concorre per lo stesso premio.
Gary Oldman in L'ora più buia
The Post
The Post si sta giocando il primo premio nel mio cuore, insieme a Tre Manifesti. Ancora non ho deciso chi vincerà, ma una cosa è sicura: lo rivedrò molto volentieri una seconda volta. Questo film prosegue la serie di pellicole che si rifanno alle grandi inchieste giornalistiche americane. Stavolta parliamo della pubblicazione dei Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam: documenti top secret del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, prima sul The New York Times e poi sul The Washington Post nel 1971. Sapevo che avrei adorato questo film, così come avevo adorato Spotlight (Miglior Film agli Oscar 2016), con una Meryl Streep straordinaria (che concorre come Miglior attrice protagonista a questi Oscar 2018) e un Tom Hanks perfetto per il ruolo. Sperando che alla Casa Bianca non si siano arrabbiati tantissimo, The Post ha tutte le carte in regola per vincere.
Tom Hanks e Meryl Streep in The Post
Il filo nascosto
Prima di guardare questo film, ho lasciato sulla soglia della porta la mia ammirazione per il regista Paul Thomas Anderson e l’idea che questo sarebbe stato l’ultimo film di Daniel Day-Lewis. L’ho guardato con occhio critico, in tutto e per tutto. Ovviamente, non ci sono riuscita: se c’è qualcuno nato per la recitazione, quello è Daniel Day-Lewis e la macchina da presa di Anderson lo eleva a un livello superiore. Per quanto Gary Oldman sia stato incisivo in L’ora più buia, c’è poco da competere contro l’interprete di Reynolds Woodcock (grande stilista londinese degli anni ’50 alle prese con una donna davvero impossibile da gestire). Daniel Day-Lewis chiuderà la sua carriera con la quarta statuetta come Miglior attore? Staremo a vedere.
Daniel Day-Lewis in Il filo nascosto
Scappa – Get Out
Get Out è un esordio, in molti sensi. È l’opera prima di Jordan Peele – il regista – e il primo grande lavoro di Daniel Kaluuya – il protagonista. È anche il primo horror candidato agli Oscar, dopo la grande stagione degli anni ’90. Non se ne vedono, infatti, mai molti nella lista delle candidature. Invece, Get Out è stata una grande sorpresa per tutti, Jordan Peele compreso.
Il film parla del fotografo di colore Chris Washington che va a passare il weekend nella casa di famiglia della sua fidanzata Rose Armitage. Tra ipnosi, lavaggi del cervello e razzismo bianco americano, Get Out scorre veloce sotto gli occhi come un incubo.
Forse non è all’altezza degli altri lavori in concorso, ma ho apprezzato che un film così satirico e di denuncia sia arrivato su un palco così importante.
Lakeith Stanfield e Daniel Kaluuya in Scappa – Get Out