Ebbene sì, succede. Specie se ti chiami Melania Trump, specie se sei la moglie di uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo. Da questa posizione, non puoi certo pretendere di uscire di Casa (Bianca) con addosso la prima cosa che capita e “farla franca”. No; quando sei la first lady degli Stati Uniti d’America hai un milione di occhi pronti a farti i raggi X, valutare ogni tua mossa, controllare ogni tua uscita e, soprattutto, scandagliare al millimetro il tuo guardaroba. Ecco perché, un semplice outfit rischia di diventare un “caso politico”, rincarando la dose di malcontento per uno dei presidenti più dibattuti della storia americana.

Partiamo dal principio. Lo scorso 21 giugno, la prima donna d’America si è recata in Texas, nella cittadina di McAllen, guidata dal nobilissimo scopo di accertarsi delle condizioni dei bambini dell’Upbring New Hope Children’s Shelter. Il centro ospita una sessantina di bambini e adolescenti, per lo più provenienti da El Salvador e Guatemala, e fornisce loro assistenza nell’attesa del ricongiungimento con le famiglie. Fin qui, quello della Trump, sembrava quasi un gesto mitigatore e, dettaglio non da poco vista l’epoca di nuovo femminismo, assolutamente autonomo rispetto al marito, noto invece per la poca tolleranza.

Melania Trump e lo scivolone fashion dai rifugiati

Un’uscita irreprensibile dunque, non fosse per lo “scontro” con il cheap parka firmato Zara, su cui campeggiava la ben poco generosa scritta “I really don’t care. Do u?”. Uno scivolone in piena regola, probabilmente la più grande buccia di banana su cui l’algida Melania sia incappata dal momento dell’insediamento del marito alla Casa Bianca. In confronto, gli stiletto per la visita alle zone colpite dall’uragano Harvey, erano niente.

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Come da copione (e ci mancherebbe), il parka è diventato la “giacca della discordia”, sollevando domande e indignazione generale. A chi è riferito il messaggio? Al severo marito o agli speranzosi bambini che tentano ogni giorno i valichi di confine? La portavoce della FLOTUS ha prontamente smentito gli eticamente feriti con comunicato stampa e hashtag #ItsJustAJacket.

Anche il marito Donald, dal canto suo, è arrivato in difesa di Melania. Nel suo stile, s’intende. Stando a lui, infatti, il “non m’importa” sfoggiato dalla moglie sarebbe stato un inequivocabile riferimento a quelle male lingue dei giornalisti. Ci crediamo? A ognuno la sua interpretazione ma, va da sé, viene da chiedersi quanto Melania e il suo staff di stylist siano un gruppo di parvenus non avvezzo alle regole della moda. Perché, se hai una certa posizione politica e mediatica, una giacca non è mai SOLO una giacca!

L’abito non fa il monaco… ma lo veste!

Dice un famosissimo motto. E, in effetti, la storia degli abiti come sigilli di garanzia, per posizioni sociali più o meno influenti, è longeva quanto la moda stessa.

Nel medioevo erano le leggi suntuarie a decretare chi poteva indossare cosa. Allora, ad esempio, era impossibile per una contadina non vestire con il grembiule ed era altrettanto improbabile vedere una nobile donna priva di una abito con lo strascico. Perché, più si è riccamente vestiti (questa era la logica), meno si è adatti al lavoro. E così, l’abito era il primo, infallibile indicatore di status.

Certo, oggi viviamo in anni differenti. Sdoganato lo streetwear (troppo, afferma qualcuno) e riportato a galla tutto il repertorio di “brutture” anni Novanta, sembrerebbe insensato preoccuparsi ancora di “etichetta”. Ma, in fondo, viviamo nella stessa società che, oltre a fare le pulci ai look delle mogli dei capi di stato, le fa ancora a principi e principesse (vedi il matrimonio tra Harry e Meghan e il tam tam suscitato dall’abito nuziale dell’ex attrice).

Da Jackie a Michelle: quando la First Lady diventa una fashion icon

L’ingenua Melania (un’ex modella poi!) dovrebbe sapere bene quanto ciò che indossi diventi oggetto d’interesse pubblico. Prima di lei, una lunga schiera di first ladies americane ha contribuito a dettare legge in fatto di stile, suscitando il malcontento o, all’opposto, conquistando il plauso generale.

Basti pensare alla sua predecessora Michelle Obama che, quasi a rinforzo della politica “aperta” del marito, ha privilegiato per le sue uscite pubbliche designer americani dal background multiculturale. Senza snobbare gli abiti di grandi catene low cost (guai agli scivoloni, però!).

O ancora, la mente non può non fare un salto alla classe di Jackie Kennedy, in realtà piuttosto contestata per via della passione verso i couturier d’Oltralpe (Chanel, Givenchy, Dior… come darle torto?).

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#ItsNotJustAJacket

Insomma, più che un semplice abito, quello della first lady è un potente mezzo di comunicazione. Ancor più oggi con le immagini rimbalzano da un capo all’altro del mondo in tempo reale. E, in effetti, la cara Melania non l’ha passata liscia e il suo “incidente modaiolo” è già stato oggetto di prese di posizione e immagini drammatiche trasmesse via Instagram.

La giovanissima attrice Jenna Ortega (di discendenze portoricane e messicane) ha risposto direttamente sul red carpet, mettendo a disposizione di flash un chiodo in pelle con la scritta “I do care and you should too”.

Ma, tra le immagini che scorrono in questi giorni, la più emblematica è forse quella che, mimando la già agghiacciante copertina del Time, vede un imponente (e tristissimo) Donald Trump ergersi di fronte a una bambina in lacrime.

Donald trump time magazine cover luglio

Che dire, un pensierino su cosa indossare alla prossima uscita, io, Melania, lo farei…