Facendo un bel bagno di realtà, verrebbe da dire, senza dubbio, “croce”. Sfido a porre la domanda ad una qualsiasi donna, di una qualsiasi età, e non ricevere la medesima, triste risposta. E, in effetti, i sondaggi si sprecano, il dibattito sul corpo e sul body shaming pure e di mezzo c’è sempre il capro espiatorio: la moda che, va detto, certamente le sue colpe le ha.

Chromat, Spring/Summer 2015

Inutile mentire… anche in tempi in cui il plus-size è stato sdoganato, a dominare la scena sono sempre e comunque i vitini da vespa e le gambe fuscello che spingono a un confronto dal quale, inevitabilmente, si esce sconfitti. Con buona pace di noi, comuni donne mortali (che dopo il cenone di capodanno, sì, come minimo un leggero gonfiore addominale l’abbiamo), i raggi X al corpo li subiscono anche i belli, ricchi e famosi. E, forse è proprio questo il punto. O meglio, il punto sta nel fatto che spesso, a cavalcare l’onda del “se non sei taglia 36, sei da buttare”, siano proprio magazine e pubblicazioni di tutto rispetto.

Thierry Mugler, Fall 2012

“Speculazioni corporee”: l’ultimo caso

Qualche giorno fa è uscito un bell’articolo su Nylon Mag. La giornalista Sarah Beauchamp, che ha centrato alla perfezione la questione, si chiede come mai giornali e tabloid diano credito a commenti, molto “social” e molto ignoranti, sul corpo delle donne. La rivista americana cita l’ultimo caso (di una serie che include star come Rihanna) di body shaming rivolto nei confronti di una modella, nello specifico, Kendall Jenner. La foto incriminata vede la top model fasciata da un abitino à pois che ne sottolinea il punto vita. Tragedia! Sarà mica incinta? O avrà preso male l’angolazione per il “mirror selfie”? Inutile parlare dello spreco di commenti.

Purtroppo però, come sottolinea Nylon, non bastassero gli haters del web, la notizia di una possibile gravidanza della Jenner è rimbalzata su siti e giornali. E questo è davvero il problema. Perché bisogna essere davvero idioti (permettetemelo) per vedere nel sottilissimo corpo della modella, una pancia “esagerata”, e bisogna essere altrettanto sciocchi nel non capire il danno che potenzialmente si fa nel riportare una notizia che, implicitamente, dichiara che addirittura un corpo da top non è “conforme” ai canoni. Ma quali canoni?

Thierry Mugler, dress, velvet, 1981

The body: fashion and physique

Come sempre puntualissimo nell’intercettare gli andamenti della moda, il Museum at FIT di New York ha in cartellone, fino al prossimo 5 maggio, una mostra che indaga proprio il complesso rapporto tra corpo e moda. Un’esibizione utilissima, nell’aiutarci a rispondere alla domanda che ci siamo posti poco fa. Se la moda può avere qualche colpa, in effetti, forse è quella dell’averci “costretto”, nel corso del tempo, a ripensamenti importanti dei canoni corporei. E allora il museo newyorchese, in una carrellata che parte dal ‘700 e arriva ai nostri giorni, fa luce su quanto l’industria fashion sia artefice dell’affermazione o meno di certi stereotipi fisici.

Ad esempio, la vitina ultra slim, è già un’ossessione nel 19° secolo, quando i soffocanti corsetti costringono (addirittura) il corpo di bambini e donne incinte. L’ingombrante crinolina aiuta nell’illusione di un busto magro e (udite, udite) funge d’aiutino per un posteriore “voluminoso”. Seguendo un ordine cronologico, l’esibizione continua nel mostrare metamorfosi modaiol-corporee come le spalline imbottite, in voga negli anni ’40 del secolo scorso. La mostra prosegue con la “liberazione” portata avanti da designer come Rudi Gernreich, i cui abiti enfatizzano una giovane e sottile nuova linea fisica, in un filone che continua per tutti gli anni ’70.

Madonna a Cannes, 1991. Dress by Jean Paul Gaultier

Parlando di cultura corporea poi, dev’essere stato impossibile per i curatori del FIT, non menzionare la “rivoluzione aerobica” degli anni ’80, quando muscoli e tonicità diventano i nuovi ingredienti di bellezza. Il fisico scolpito dalla palestra, le diete ferree e i ritocchini danno il via alla discussione (mai interrotta, potremo dire) sul corpo sano, portando con sé riflessioni circa l’obesità o, al contrario, la magrezza estrema.

Martin Margiela, tunic, linen, 1997

“Fashionable body”: ad ogni epoca il suo

D’obbligo menzionare, per concludere, lo sguardo che il FIT pone sulla moda degli ultimi decenni. Con riferimento alla diffusione di internet e dei social media, la mostra chiarisce quanto la fashion industry sia stata costretta a un ripensamento interno, rivolgendosi non più solo ad una cerchia ristretta di persone, ma a una fetta di pubblico potenzialmente infinita. Ecco spiegato il comparire sulle passerelle di tutto il mondo di modelle “di razza”, genere e taglia differenti, con abiti pensati per vestire, finalmente, tutti i tipi fisici.

Chromat, Spring/Summer 2015

The Body: Fashion and Physique è perfetta per capire quanto il cosiddetto “fashionable body” altro non è che un costrutto culturale che ciascuna epoca crea, di volta in volta, ex novo. E allora, forse, non dovremo disperare per una taglia 42. Ancor più se esperti giornalisti di moda smettessero di dare alla Jenner della donna incinta per una foto e i designer, magari, abolissero termini come “plus size”, ampliando lo spettro delle taglie e basta. Perché siamo ciò che siamo, senza inutili puntualizzazioni.