Questo è il dilemma quando ci si addentra nel “pericoloso” e ciclicamente dibattuto tema dell’appropriazione culturale nella moda.
Elsa Hosk per Victoria's Secret 2017
A dare il la all’ultima ondata di discussioni, ci ha pensato recentemente Victoria’s Secret. Tra probabili abbandoni e visti negati, gli angeli del famoso marchio di lingerie hanno fatto parlare di sé anche per argomenti decisamente più urgenti. È finito nell’occhio del ciclone, infatti, un particolare segmento della sfilata andata in scena a Shanghai, dal titolo Nomadic Adventure. Come facilmente intuibile dal nome, il riferimento era alle culture nomadi americane, sublimate per l’occasione in motivi etnici e fantasiosi copricapi dal sapore indio. Proprio uno di questi, come ricorda il sito Fashionista.com, ha in realtà un significato ben preciso: veniva utilizzato in battaglia ed era emblema di rispetto e coraggio per molte popolazioni native americane.
La domanda, allora, sorge spontanea: ha senso sradicare un tale simbolo dal suo contesto originario e “sessualizzarlo” nello show forse più artefatto della moda? Ma soprattutto: è ispirazione o appropriazione culturale? Rispondere a questa scivolosa domanda non è affatto semplice. Certo è che per un’industria creativa, com’è quella della moda, cadere nelle torbide acque dell’appropriazione culturale è un gioco da ragazzi, specie in epoca di globalizzazione.
Appropriazione culturale: i precedenti famosi
Non occorre andare molto indietro nel tempo per incontrare altri casi etichettati (a torto o ragione) come appropriazione indebita. L’ultimo, cronologicamente parlando, ha riguardato una magnetica Rihanna. La cantante è infatti stata immortalata sulla copertina del numero di novembre di Vogue Arabia nelle sembianze della regina Nefertiti.
Lo stesso giornale era stato, tra l’altro, al centro di polemiche simili in occasione dell’uscita del suo numero di marzo che vedeva in prima pagina Gigi Hadid con indosso uno hijab.
Parlando di velo poi, la mente non può che andare alla collezione realizzata nel 2016 da Dolce & Gabbana. Abaya, così si chiamava, comprendeva veli e tuniche che, smontando il concetto per cui la moda islamica è “modesta”, presentavano tutti gli stilemi tipici del duo creativo, tra pietre preziose e stampe floreali. Eppure, anche in questo caso, ci fu chi parlò d’appropriazione indebita.
Dolce & Gabbana, Abaya Collection 2016
Lo stesso che è accaduto a Marc Jacobs per la collezione Primavera Estate del 2017. Non hanno soddisfatto i più, i dreadlock arcobaleno che lo stilista ha “montato” su modelle principalmente caucasiche. Stando ai commenti che seguirono il fashion show, il principale simbolo della cultura Rastafari era stato totalmente snaturato e posto al servizio di un’estetica disco-punk per niente “nera”.
Vero e proprio plagio creativo fu invece quello che investì Isabel Marant nel 2015. L’amata stilista francese aveva realizzato, infatti, una camicetta identica in tutto e per tutto a quelle create dalla piccola comunità indigena messicana di Santa Marìa Tlahuitoltepec, nella provincia di Oaxaca.
Marc Jabobs, Primavera Estate 2017
Tiriamo le somme: esotismo o scippo?
Chissà cosa avrebbero pensato gli attuali critici se si fossero trovati davanti alle creazioni orientaleggianti di Paul Poiret. Il più “esotico” dei couturier faceva man bassa dall’immaginario del lontano Oriente, costruendoci sopra abiti, ma anche feste lussureggianti che probabilmente poco avevano a che fare con la realtà di quei paesi lontani. Che cosa diremo noi oggi, è esotismo o scippo?
È un crinale, lo dicevamo, molto scivoloso. La moda è da sempre attratta da culture lontane, diverse da quella occidentale, dove storicamente è nata e si è sviluppata. E di esempi come quelli citati poco fa, ne potremo fare davvero tanti. Certo, quando l’omaggio si riduce a una copia (caso Marant) o a un mero scimmiottamento di una tradizione diversa, questo può dar luogo a stereotipizzazioni per niente piacevoli. Ma quando una cultura è omaggiata con rispetto, specie da quella “passerella” multiforme che è la moda, ne può venir fuori solo qualcosa di buono.