E per “tecnologica”, badate bene, non intendiamo certo il mood futuristico (o da cyber-spazio, come preferite) visto alle recenti sfilate, quanto più a una traiettoria, precisa ed inarrestabile, che la moda sta prendendo.
Dolce & Gabbana Fall Winter 2018 Ready-to-Wear Collection
Qui non c’entrano le borsette esibite sui droni da Dolce & Gabbana, o i PVC olografici da sbarco sulla luna (molto rock) chez Balmain. Qui parliamo piuttosto di recenti tecniche di stampa in 3D per gli abiti, di camerini che definire interattivi è riduttivo e di algoritmi che mirano a surclassare gli stilisti a suon di AI.
Balmain Fall 2018 Ready-to-Wear Collection
Insomma, sembra un’era preistorica quella in cui l’e-commerce costituiva una novità e Instagram lanciava sul mercato “Shopping”, recentemente arrivato anche in Italia, permettendo acquisti diretti grazie a speciali tag. Solo apparentemente distanti, moda e tecnologia sono due mondi che corrono velocissimi e allora l’incontro diventa inevitabile.
Richard Quinn ed Epson: i tessuti si stampano in 3D
Lo stilista britannico Richard Quinn è da poco entrato nelle cronache modaiole. Vuoi perché sua maestà in persona, Queen Elizabeth II, l’ha onorato della sua presenza al défilé londinese, vuoi per la sua partnership, peraltro di lunga data, con Epson – che gli ha permesso di realizzare un’intera collezione grazie ad una particolare stampante digitale.
Richard Quinn Fall 2018 Ready-to-Wear Collection
L’esplosione floreale vista in passerella da Quinn è stata proprio questo: il risultato dell’incontro tra creatività e stampa in 3D. Certo, la tecnologia ha ancora i suoi limiti e la lavorazione tramite stampante è attualmente possibile solo su precise tipologie di tessuti ma, ci scommettiamo, non ci vorrà molto per aggiungere un ulteriore tassello sul cammino della wearable technology.
Richard Quinn Fall 2018 Ready-to-Wear Collection
Ad esempio se, come noi, vi state chiedendo se i tessuti stampati digitalmente non siano un po’ troppo “rigidi”, preparatevi a cambiare idea. È infatti un progetto già ben avviato Modeclix, messo a punto dalla University of Hertfordshire. Il procedimento dona ai tessuti stampati in 3D un aspetto decisamente più morbido e flessibile, rendendo i capi così prodotti paragonabili a quelli “classici”.
Stylist: avete i minuti contati!
Stando perlomeno ad Amazon, sembrerebbe proprio così. Il colosso statunitense, a braccetto con la sua compagnia di ricerca e sviluppo Lab 126, ha brevettato un algoritmo in grado (letteralmente) di anticipare mode e tendenze. Come funziona? Niente di più “facile”: basterà prendere un’immagine e copiarne lo stile. Al resto ci penserà il super calcolo che, applicando l’informazione ricevuta, sarà in grado di generare da zero nuovi elementi con variazioni. Vere e proprie stylist 2.0, le Machine Learning di Amazon soppianteranno anche gli stilisti? Non è dato saperlo. Certo è che dalla tecnologia “tutto fare” il settore moda è sempre più attratto.
Zara e Mango: prove di realtà aumentata
Non è esente dalla fascinazione per l’high-tech anche il settore del retail, con i “big” del fast fashion in prima linea. Per Zara, ad esempio, il termine “negozio” è quanto di più obsoleto ci possa essere. Il pop-up store del centro commerciale Westfield Stratford di Londra ne è la perfetta dimostrazione. Niente camerini, niente casse e il “divieto” di prova degli abiti.
Direte voi, perché andarci allora? Semplice, per fare esperienza di una realtà aumentata tutta indirizzata ad abbattere le barriere tra reale e fisico e (nel caso) offrire un migliore servizio ai consumatori. Già perché nello store (affrettatevi, chiude a maggio) i capi si acquistano grazie ai dispositivi in dotazione allo staff, si pagano via Bluetooth ma, soprattutto, si avvicinano ad un “magic mirror” che mostra prezzo, taglia e possibili abbinamenti con altri abiti.
Sulla falsariga di Zara, anche la novità tecnologica introdotta da Mango che, pur mantenendo i camerini (sì, qui almeno potrete provare ciò che volete), offre un’esperienza d’acquisto a 360°. Il fitting, qui, si fa “liquido” ma non per questo meno efficiente e, grazie ad uno specchio digitale, il cliente può scansionare le etichette dei prodotti e richiederne di altre taglie e colori al personale del negozio. Il tutto senza muovere un passo. Se siete poi indecisi sugli abbinamenti, niente paura perché lo specchio, progettato da Mango in tandem con Vodafone, suggerirà altri articoli a completamento dell’outfit. Ancora una volta, viene da dirlo; stylist e personal shopper cominciate a preoccuparvi.
Moda e tecnologia: un bene o un male?
Passi il pagamento immediato, passi l’assistenza nella ricerca di taglie e colori (utilissima nel caso di file chilometriche alle cabine di prova) e ben venga la progettazione di tessuti innovativi che, perché no, possono declinare la creatività in modo diverso ancora. Ma davvero c’è bisogno di una fredda e distaccata tecnologia per suggerirci cosa indossare e cosa no? Parafrasando una celeberrima massima della moda (che probabilmente sarebbe inorridita di fronte a tanto sfarzo tech) “la moda passa, lo stile resta”, dove con stile non s’intende certo quello creato matematicamente da un algoritmo. Perché che ne sa lui di noi? Che ne sa lui di cosa abbiamo voglia di indossare un giorno o un altro? Oltretutto, si tratta di un’impresa a dir poco ardua dato che oggi la moda è tutto e il contrario di tutto, specie in tempi di ribalta dello street style dove fanno tendenza anche le Birkenstock col calzettone – un tempo etichetta (poco lusinghiera) dei “cugini” tedeschi in villeggiatura in riviera.
Hussein Chalayan "Room Tone"
Difficile, dunque, decretare lo stile in un ventaglio così variegato di possibilità. Per non parlare poi della decimazione dei posti di lavoro “umano” che uno scenario così futuristico porterebbe con sé. Designer, i già citati stylist, oltre che migliaia di sarte e premier che hanno fatto, del minuzioso lavoro a mano, la fortuna di grandi atelier. Non è tutto male, ovviamente, e la tecnologia in mano a bravi creativi ha fornito spunti di riflessione non da poco (guardare la collezione Room Tone di Chalayan per credere).
Quindi fashion-tech sì, ma con parsimonia!