“Retro maniaci” della moda drizzate le antenne perché le sfilate parigine sanciranno, nel 2018, un grande ritorno: quello di Poiret. Era il lontano 1926 quando la storica maison francese nata al numero 5 di rue Auber chiudeva i battenti, con il geniale Paul che finiva nell’oblio, soppiantato dalla moderna garçonne di Chanel. La stessa, che con una battuta al vetriolo diventata leggenda, incrociando il sarto per le vie parigine, lo liquidava sprezzante pronosticandone “la fine”. Già, perché dopo anni di successi e conquiste, dopo aver intercettato alla perfezione i gusti della Belle Époque, Paul Poiret finì i suoi giorni dimenticato, quando all’indomani della Grande guerra la donna cambiò stile, preferendo nel vestire la libertà piuttosto che l’eccesso.
Denise Boulet, dress by Paul Poiret
Singolare, per tornare al XXI secolo senza farsi prendere la mano da pezzetti di storia della moda, come la sfida per la maison Poiret sia la stessa, oggi come ieri. Sarà in grado di essere al passo coi tempi? Riuscirà ad aggiornare lo stile secondo i codici contemporanei?
L’ardua impresa è nelle mani, oggi, di tre donne. La prima è la belga Anne Chapelle, business woman artefice dell’ascesa di brand come Ann Demeulemester e Haider Ackermann. La seconda è la couturier cinese Yiqing Yin. A chiudere il trio, un’altra career woman, Chung Yoo-Kyung, nipote del fondatore di Samsung, nonché presidente del department store Shinsegae. Per vedere il debutto si dovrà aspettare il 4 marzo, quando la collezione verrà presentata sulle passerelle della Paris Fashion Week.
Yiqing Yin Spring 2016
Tra orientalismi e total lifestyle: le conquiste di Paul Poiret
Universalmente riconosciuto come il liberatore della donna dalla schiavitù del corsetto, Paul Poiret è stato pioniere di un numero infinito di tendenze. Se l’emancipazione femminile passava per lo più da scelte estetiche anziché etiche (la sua jupe entravée, strettissima alla caviglia, non era certo comoda), gli va comunque dato atto di una lungimiranza unica per quei tempi. “Genio ribelle” ante litteram (il suo apprendistato da Worth non durò molto, vista la stravaganza dei suoi abiti), si fece portavoce nei primissimi anni del ‘900, di quell’amore per l’Oriente, poi esploso con i mitici Ballets Russes di Sergej Djagilev.
Costume design by Leon Bakst per The Blue God, 1912. Compagnia: Diaghilev's Ballets Russes
Fancy Dress Costume by Paul Poiret, 1911
Se oggi, i défilé scenografici sono una regola nella moda, lo si deve poi un po’ anche a Poiret, che inaugurò la tradizione con la fastosa “fête de la mille et deuxième nuit”. E poi ancora l’amore per l’arte e l’apertura dell’Atelier Martine, dedicato alla decorazione d’interni. Il lancio sul mercato di un profumo e la collaborazione con illustratori, fotografi e pittori tra cui Man Ray, Raul Dufy o Georges Lepape, che sancirono quel legame tra arte e moda tanto caro anche a noi oggi.
La Perse by Paul Poiret. Textile designed by Raoul Dufy, 1911
Les Cerises. Toilette de campagne par Paul Poiret by Georges Lepape, in La Gazette du Bon ton, 1913
“Sleeping beauty”: mancanza di novità o nostalgia?
Certo, questi grandi “come back” portano con sé alcune domande. Si parla spesso nel settore di mancanza di novità, d’idee nuove che non facciano rimpiangere il glorioso passato dei grandi della moda. Ripescare dal cilindro iconiche maison d’altri tempi sembrerebbe confermare, invece, questo pensiero. Eppure, togliere la patina del tempo è ormai oggi un trend diffuso, come confermano i vari rispolveri d’archivio effettuati, con successo, dalle più note case di moda. Il verbo da usare è diventato dunque “aggiornare”, modernizzando il tempo che fu secondo gli stilemi della contemporaneità. E contemporaneo, oggi, vuol dire anche una comunicazione che passi attraverso il web e i social media, scommettendo su quel digital marketing che, stando alle parole di Anne Chapelle, sarà una sfida per portare anche i giovanissimi a conoscere uno storico marchio come Poiret.
Peggy Guggenheim, dress by Paul Poiret. Photo: Man Ray, 1923
Photo: Alexandra Utzmann. Via Instagram
Restituire credito ai cosiddetti “sleeping beauty” (i grandi marchi “dormienti” del passato), non diventa allora un’operazione nostalgica per chi è in debito d’idee. Diventa piuttosto il recupero di una credibilità che, a quanto pare, continua a fare gola anche in tempi di streetwear e fast fashion. Lo diceva bene sempre Business of Fashion in un articolo datato marzo 2012, quando sottolineava l’importanza dell’autenticità nelle scelte dei consumatori, oggi sempre più consapevoli. D’altronde, è un fenomeno ben visibile anche in altri “tormentoni” della moda; basti pensare alla recente “logomania” che investe i brand più hot del momento, o alle frasi-manifesto che campeggiano sulle varie t-shirt, simbolo d’impegno e di appartenenza più che di mero sfoggio. E allora, ben vengano i fashion reboot…